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La Svizzera "va in vacca"

di Tommaso Basevi

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3 dicembre 2009

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Ma fare la faccia truce conviene? Il rischio concreto è di trasformare il presente in una commedia dai risvolti grotteschi, per non dire comici. A Lugano qualcuno prova a prenderla con filosofia: gli ottimisti come il presidente della Camera di Commercio del Ticino Luca Albertoni parlano di «un nuovo inizio che potrebbe liberare il cantone dal vincolo esclusivo con la finanza favorendo così l'emersione di nuove diversificate energie». La Svizzera maldestra di questi tempi mantiene doti e settori d'eccellenza che molti grandi d'Europa le invidiano. In Ticino, ricorda Christophe Passer, «l'Università si è guadagnata uno spazio importante, il dipartimento di architettura guidato da Mario Botta ha una reputazione internazionale così come il centro di ricerca sul cancro di Franco Cavalli o quello di biomedicina di Bellinzona». A nord, poi, c'è Basilea, che grazie anche alle grandi famiglie di mecenati padroni del settore farmaceutico è diventata uno dei fulcri del collezionismo d'arte mondiale e un polo museale fondamentale. E lo sport? Romandi, romanci, ticinesi, svizzeri di lingua tedesca sono capaci di ignorarsi su tutto ritrovando poi l'orgoglio perduto sulle piste da sci o sui campi da tennis dove Roger Federer domina la scena da anni con la sua aria da bravo ragazzo, gentile e un po' tedioso. Strano destino quello di un Paese alpino che assapora l'ebbrezza dell'America's Cup e respira salsedine grazie a un signore di origine italiana residente a Ginevra.

Nei grotti e nei grandi alberghi d'altura gli elvetici trovano rifugio e ispirazione ma poi hanno bisogno di partire altrove. Grandi esploratori come Nicolas Bouvier e Anne Marie Schwarzenbach ce lo hanno insegnato. Certo il richiamo del cioccolato, i trenini d'alta montagna e le immancabili mucche al pascolo restano il parco giochi di un Paese che ha bisogno di miti in miniatura. Ma i tempi obbligano tutti a resettare il proprio centro di gravità e le proprie abitudini. Esemplare la notizia apparsa la scorsa estate sui giornali di lingua tedesca: «Allevatore dell'Appenzello affitta le proprie vacche per la modica somma di 390 franchi a stagione. Versando tale somma si può usufruire di una foto ricordo in compagnia del bovino, di una visita accompagnata sull'alpeggio, di formaggio a prezzo calmierato e si può pure dormire nella baita e lavorare nella stalla». C'è anche un sito: www.kuehe-mieten.ch. Pare che l'iniziativa abbia avuto un folgorante successo.

L'arte dell'arrangiarsi per far fronte alla crisi è arrivata anche qui attirando turisti in cerca di esotismo dalla Gran Bretagna, dalla Germania e pure da Bangkok. La Svizzera in fondo è anche un po' Italia. Un'Italia creativa, però, quella che era capace di dare il meglio proprio nei momenti cupi. Non quella di oggi, incattivita e incapace di progettarsi un futuro.

3 dicembre 2009
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